Il Nuovo Regno è probabilmente il più comunemente noto tra i periodi della storia egizia. I nomi di molti sovrani di quest’epoca sono entrati nell’immaginario collettivo dell’antico Egitto, suonando familiari anche a chi ha poche conoscenze storiche: Hatshepsut, Akhenaton, Tutankhamon, Ramses II… Alcuni di questi re sono quasi considerati come delle leggende dai più, e non sarebbe del tutto errato dire che era così che volevano mostrarsi.
Nonostante includa solo tre dinastie, cioè la XVIII, la XIX e la XX, l’arco di tempo ricoperto dal Nuovo Regno va dal 1550 al 1060 circa. Include dunque quasi 500 anni di storia, una storia davvero ricca di eventi.
Questo periodo è un’epoca di opulenza e di raffinatezza culturale, ma anche di discordie interne e conflitti esterni. È teatro di importanti eventi storici, di conquiste, di nuove elaborazioni teologiche, e, al suo tramonto, dell’ultimo declino del regno egizio. In questo articolo si proverà a descrivere al meglio la prima parte del Nuovo Regno, con la XVIII dinastia, cercando, quanto possibile, di essere sintetici.
XVIII dinastia
Ahmose I, iniziatore del Nuovo Regno
Ritenuta comunemente come l’apice della storia egizia, la XVIII dinastia ha inizio con la cacciata degli Hyksos da parte di Ahmose I, nel 1552 a.e.v. circa. Terminato il turbolento Secondo Periodo Intermedio, l’Egitto era nuovamente unito sotto un unico sovrano autoctono. La riorganizzazione amministrativa delle Due Terre fu un processo complesso, che partì dalla regione tebana. I funzionari e i governatori rimasti fedeli al potere faraonico furono premiati, mentre coloro che si erano asserviti ai Principi Stranieri furono estromessi dalle loro cariche.
Ahmose I si impegnò a far rifiorire l’Egitto avviando numerosi progetti artistici e architettonici. In particolare diede impulso al culto di Amon, Signore di Tebe, che avrebbe avuto una grande prevalenza in tutto il Nuovo Regno. In questo periodo infatti viene potenziato il ruolo del clero del Dio, anche con l’introduzione di nuove cariche come quella della Sposa Divina di Amon. La prima a ricoprire questa posizione di rilievo fu Ahmose Nefertari, la regina consorte di Ahmose. Dopo la morte ella fu divinizzata e venne venerata con molto fervore, in particolare dagli abitanti di Deir el-Medina, per tutto l’arco del Nuovo Regno. Insieme a lei, anche il figlio Amenhotep I divenne il patrono del villaggio di artigiani.
Amenhotep I e Deir el-Medina
Il Nuovo Regno era iniziato sotto l’insegna di un rinnovamento artistico e religioso e di una ritrovata pace. Sotto Amenhotep I, figlio del vincitore sugli Hyksos, la ripresa economica continuò ulteriormente. Sul piano religioso e letterario, durante il regno di questo sovrano è di rilievo la stesura definitiva della versione canonica del Libro dell’Amduat, un’insieme di testi funebri destinati unicamente al faraone.
Degna di nota è la fondazione in questo periodo di Deir el-Medina, in egizio Pa-Demi, “il villaggio”. Si trattava di un insediamento popolato da artigiani specializzati, situato nei pressi della celebre Valle dei Re. Ai tempi però il wadi che in futuro si sarebbe riempito delle tombe dei re ancora non era utilizzato come necropoli: infatti Amenhotep I si fece seppellire probabilmente a Dra Abu el-Naga, sempre in area tebana. Come già menzionato, il sovrano e sua madre godettero di grande venerazione nel villaggio dopo la loro morte.
I Thutmosidi, problemi di successioni agli inizi del Nuovo Regno
Thutmose I
Amenhotep I perse suo figlio Amenemhat, l’erede originario, e il suo successore divenne Thutmose I. L’origine di questi è incerta, forse non regale, ma si sa che egli sposò Ahmose, una sorella di Amenhotep, per legittimare la sua ascesa al trono. Durante il suo regno si impegnò in varie campagne militari, sedando delle rivolte nubiane e consolidando il dominio egizio in Medio Oriente. Il primogenito maschio che aveva avuto da Ahmose, Amenmose, non sopravvisse al padre: ancora una volta, la successione era controversa.
Thutmose II
Figlio di Thutmose I e di una concubina, Mutneferet, Thutmose II salì al trono alla morte del padre. Egli dovette legittimare la sua successione sposando la sorellastra Hatshepsut, figlia della consorte reale Ahmose. Con lei ebbe solo una figlia femmina, Neferura, e ancora una volta l’erede fu generato con una concubina. Thutmose III, questo il nome dell’unico figlio maschio del sovrano, sarebbe stato a tutti gli effetti l’erede legittimo. Ma alla morte di Thutmose II, giunta prematuramente per malattia, egli era troppo giovane per regnare. La matrigna Hatshepsut divenne dunque la regina reggente, posizione che avrebbe dovuto ricoprire in via provvisoria. L’ambizione della regina, che si rifiutò di lasciare il potere, fece la storia.
Hatshepsut, una donna al potere
Legittimare una regina
Verso il secondo anno di reggenza, cioè nel 1478 a.e.v. circa, con un colpo di mano Hatshepsut si impadronì del potere totale. Assunse una titolatura regale completa e da regina madre reggente divenne il sovrano delle Due Terre de facto. Sebbene non fosse inaudito nella storia egizia, l’ascesa di una regina al trono era un evento raro, che non avveniva dai tempi della XII dinastia, quando Nefrusobek salì al potere. Tuttavia vi era una differenza sostanziale tra questi due eventi storici: Nefrusobek era diventata regina per via del tutto legale, mentre quella di Hatshepsut fu a tutti gli effetti un’usurpazione del potere legittimo. Non mancò opposizione durante il suo regno, ma in seguito vedremo che l’astio nei confronti dell’usurpatrice sarà ancora più accanito dopo la sua morte.
Era necessario per la sovrana legittimare la sua ascesa al trono, e a questo scopo fu elaborata una narrazione in cui venne riscritta buona parte della storia iniziale del Nuovo Regno. Il ruolo del fratellastro e sposo Thutmose II fu sminuito, facendo di questi il coreggente del padre. Ma il principale elemento propagandistico sviluppato dalla regina fu il mito della sua nascita divina: secondo questa narrazione Ahmose, sposa di Thutmose I, aveva dato alla luce una figlia concepita da Amon, il cui nome sarebbe stato Hatshepsut. Nel suo tempio funerario a Deir el-Bahari questo mito è rappresentato nel dettaglio in un ciclo di rilievi che mostrano tutte le fasi della vita della regina: dalla deliberazione di Amon di concepire Hatshepsut, alla nascita della figlia del Dio, culminando nella sua incoronazione a sovrana delle Due Terre.
Un regno prospero
Il regno di Hatshepsut fu un’epoca di fioritura artistica, di floridi commerci e di relativa pace. Ella diede il via ad un’intensa attività edilizia, concentrata nell’Alto Egitto. A Tebe ampliò e abbellì il complesso templare di Amon a Karnak. A lei si devono numerosi monumenti nella zona, tra cui due altissimi obelischi e la Cappella Rossa, destinata alla barca del Dio. Restaurò inoltre il tempio di Mut, che in passato gli Hyksos avevano devastato. A Beni Hasan fece costruire un tempio rupestre dedicato alla Dea leonessa Pakhet.
Ma il più grande capolavoro costruito sotto Hatshepsut fu proprio il tempio funerario della regina stessa. Situato a Deir el-Bahari, nei pressi del più antico tempio di Montuhotep II, preso a modello per la struttura a terrazze. In origine ospitava un ricco giardino adornato da piante esotiche. Vi erano molti santuari interni, dedicati ad esempio ad Hathor, Anubi e Amon, e all’esterno era presente un altare dedicato al culto solare.
L’impegno della regina e dei suoi collaboratori non fu solo in campo architettonico, ma anche nel commercio. Ella si impegnò nel ristabilire le tratte commerciali che erano state interrotte durante la dominazione degli Hyksos. La più celebre delle sue spedizioni fu quella verso la lontana terra di Punt, nei pressi dell’odierna Somalia. Da lì i mercanti riportarono merci preziose come oro, avorio, ebano, incenso, mirra, animali e legna esotica. Durante il regno di Hatshepsut è attestato anche lo sfruttamento delle miniere del Sinai. Sul piano militare, vi furono effettivamente delle spedizioni contro la Nubia, ma generalmente il dominio della regina è considerato un periodo pacifico.
Thutmose III, il “Napoleone d’Egitto”
Hatshepsut morì al suo 22esimo anno di regno, nel 1458 a.e.v. circa. Finalmente Thutmose III, che si era visto a lungo privato del suo diritto al trono, salì al potere. Particolarmente rancoroso nei confronti della matrigna usurpatrice, si impegnò a perpetrare una damnatio memoriae nei suoi confronti. Molte immagini della regina furono scalpellate via, e il tempio di Deir el-Bahari fu vandalizzato.
Thutmose III però, nonostante il tempo perduto, sarebbe passato alla storia come uno dei più grandi conquistatori dell’antico Egitto e uno dei più noti faraoni del Nuovo Regno. Sotto di lui il regno delle Due Terre raggiunse la massima espansione, grazie a numerose campagne militari. Guerriero dall’eccezionale valore, prestanza e coraggio, Thutmose III combatteva con i suoi soldati sul campo di battaglia, su un carro da guerra. Ma ancora di più era la sua prodezza strategica che lo avrebbe fatto passare alla storia come il “Napoleone d’Egitto”.
La Battaglia di Megiddo
Verso l’inizio del suo regno dovette fronteggiare una ribellione dei territori mediorientali, che erano insorti contro l’Egitto appoggiati dal re di Mitanni. In questa campagna militare è celebre l’episodio della conquista di Megiddo, la base delle operazioni della coalizione avversaria.
Gli annali di Thutmose III, che narrano la guerra contro i ribelli cananei, raccontano che la città poteva essere raggiunta in due modi: o percorrendo delle vie agevoli per l’esercito ma più lunghe, o attraversando una stretta gola montana, che avrebbe esposto i soldati al rischio di pericolose imboscate, ma che conduceva più in fretta alla meta. Thutmose decise di intraprendere la più ardua strada montana, sperando di cogliere il nemico alla sprovvista. Riuscì così a cogliere impreparati gli avversari, che si aspettavano che l’esercito egizio avrebbe percorso la via più lunga. Nella battaglia che seguì, dove si narra che Thutmose combatté con grande valore, gli egizi sbaragliarono la coalizione nemica e i soldati sconfitti si rifugiarono tra le mura di Megiddo. Dopo un assedio durato sette mesi, l’esercito faraonico si impadronì della città, schiacciando così la ribellione.
Un re attivo, in guerra e in pace
In totale Thutmose III condusse 17 campagne militari in Medio Oriente prima di consolidare definitivamente il dominio egizio nell’area. Nel corso delle varie spedizioni il re assunse un approccio strategico, talvolta adoperando il metodo della terra bruciata e facendo ampiamente razzia delle risorse nemiche. Placate le sedizioni, inglobò la zona della Cananea e della Siria nel territorio egizio, ma non interamente: molti piccoli regni restarono indipendenti come tributari dell’Egitto, che fungessero anche da “stati-cuscinetto” contro la possibilità di ulteriori invasioni. Inoltre a Sud, sul fronte nubiano, Thutmose III riuscì ad espandere il dominio egizio fino alla quarta cateratta, presso Napata.
L’Egitto fu enormemente arricchito dalle risorse provenienti dai paesi conquistati. Thutmose decise di donare una grande quantità di bottino al clero di Amon a Tebe, che vide così iniziare l’ascesa del suo potere. Inconsapevolmente, questo atto mise in moto una reazione a catena che avrebbe condotto a un vero e proprio strapotere politico del clero tebano, e, infine, alla caduta stessa del Nuovo Regno.
Come i suoi predecessori prima di lui e in seguito tutti i seguenti sovrani del Nuovo Regno, Thutmose III si preoccupò di abbellire il complesso templare di Karnak. Egli fece edificare l’Akh-Menu, il tempio dedicato al suo giubileo, dove tra le tante cose era presente un giardino botanico ricco di piante provenienti dai territori siriani assoggettati. Fece anche innalzare numerosi obelischi, che ora si trovano in varie città del mondo.
Verso l’apogeo del Nuovo Regno: Amenhotep II e Thutmose IV
Amenhotep II, un re atletico
Quando Thutmose III morì, intorno al 1425 a.e.v., aveva già associato al trono il figlio Amenhotep II. Egli è noto in particolare per la sua prestanza fisica: più volte si fece rappresentare impegnato nel superare difficili prove atletiche. Pare fosse un eccellente cavaliere, rematore e cacciatore e che fosse temibile sul suo carro da guerra. Era anche un ottimo arciere, se le imprese di cui si vantava sono da ritenere veritiere
Verso l’inizio del suo regno si trovò a fronteggiare una ribellione delle città asiatiche, che riuscì a domare velocemente. Sebbene non ci sia modo di verificare la veridicità di questo fatto, si narra che Amenhotep II uccise di sua mano sette principi ribelli a Qadesh. Meno lusinghiero nei confronti della bontà del sovrano invece è il racconto secondo cui fece appendere i corpi dei suddetti principi come monito sulle mura di Tebe e Napata, dopo aver fracassato le loro teste con una mazza.
Thutmose IV e la Stele del Sogno
L’ascesa al trono di Thutmose IV avvenne in circostanze non del tutto chiare. Probabilmente quando Amenhotep II morì, nel 1400 a.e.v. circa, era recentemente deceduto l’erede primogenito. Il regno fu ereditato dunque da Thutmose, figlio di una sposa secondaria o concubina. Era evidente che la successione non fosse stata una questione priva di complicazioni, poiché Thutmose fece incidere un testo propagandistico sulla cosiddetta “Stele del Sogno”
La Stele, posta ai piedi della Grande Sfinge di Giza, narra che un giorno Thutmose IV si addormentò ai piedi della Sfinge e gli apparve in sogno Horemakhet-Khepri-Ra-Atum, che gli si rivolse definendolo suo figlio, promettendogli che egli porterà “la corona bianca e la corona rossa sul trono di Geb”. Il re, da parte sua, avrebbe dovuto rendere un favore al Dio liberando il corpo della Sfinge dalle sabbie. Infatti ai tempi il deserto aveva quasi sommerso la celebre statua, e Thutmose IV si impegnò dunque nella restaurazione del monumento.
Un altro fatto interessante che si può evincere dal racconto, oltre all’intento propagandistico, è la presenza assidua del faraone nella zona menfita, dal momento che Giza non è molto distante dall’antica capitale. Infatti Thutmose IV si curò particolarmente della zona di Menfi, nel tentativo di controbilanciare lo strapotere che in quel tempo esercitava Tebe. Infatti nel Nuovo Regno fu costante ed esorbitante la ricchezza dei nobili tebani e del clero di Amon, tanto da rivaleggiare con il potere della Corona.
Amenhotep III, pace e opulenza
Ancora una volta, dopo la morte del re, salì al trono il figlio di una concubina: Amenhotep III, figlio di Thutmose IV, morto intorno al 1390 a.e.v., e della sua concubina Mutemuia, che esercitò la reggenza per il nuovo sovrano dodicenne. Amenhotep III prese come consorte una donna di origini non regali, chiamata Tiye. Ella ebbe un ruolo di rilievo durante questo regno: non solo sopravvisse al marito, ma godette di numerosi privilegi regali. Per lei fu consacrato persino un tempio mentre era ancora in vita.
Quello di Amenhotep III fu un regno lungo, stabile e pacifico. Le relazioni con i paesi asiatici del Vicino Oriente non furono ostili, ma furono caratterizzati invece dall’intrattenimento di intensi scambi diplomatici, testimoniati dalle Lettere di Amarna. Tramite dei matrimoni strategici, Amenhotep III ottenne alleanze con i regni di Mitanni e di Babilonia.
Si potrebbe definire questo periodo come l’apogeo del Nuovo Regno, o dell’intera storia egizia. Sul piano diplomatico l’Egitto godeva di immenso prestigio presso tutti i regni dell’epoca. Anche a livello artistico fu un periodo prolifico: Amenhotep III ricoprì la Nubia di nuovi templi e monumenti, e anche il resto dell’Egitto è disseminato di sue opere architettoniche. A Tebe il suo contributo più celebre furono le celebri seicento statue di Sekhmet, che il re aveva fatto costruire per chiedere l’intervento della Dea nella sua guarigione.
Un re malato
Amenhotep III chiedeva la grazia della Dea leonessa proprio perché molto malato: soffriva di numerosi problemi ai denti e di problemi legati all’obesità, tra cui l’artrite. Non stupisce che il sovrano la cui epoca fu così ricca opulenta eccedesse nell’alimentazione; del resto, al suo tempo non mancava certamente il cibo neanche sugli altari degli Dei, che strabordavano di offerte al limite dello spreco alimentare.
Amenhotep IV… o Akhenaton, padre dell’eresia amarniana
Da amenhotep IV…
Sotto Amenhotep III l’Egitto aveva raggiunto un livello di stabilità che forse non avrebbe più ritrovato. Le certezze politiche e religiose che con lui si erano affermate erano destinate a svanire non molto dopo la sua morte. A succedergli, nel 1352 a.e.v. circa, fu il secondogenito Amenhotep IV, essendo morto prematuramente il figlio maggiore. Forse gli fu anche associato in una coreggenza verso la fine del suo regno, ma non ve n’è certezza. Il nuovo re sposò una sua cugina, Nefertiti, che proveniva dalla famiglia di Tiye.
Tutti, in realtà, conosciamo Amenhotep IV con un altro nome: Akhenaton. Tuttavia, quando salì al trono non era ancora giunto alla decisione di imporre il culto del sole Aton. È molto probabile che questa tendenza religiosa fosse già avviata verso la fine del regno di Amenhotep III, ma fu ufficializzata solo in seguito. Agli inizi del suo regno Amenhotep IV iniziava a percorrere le strade della tradizione, da cui presto avrebbe deviato: a suo nome furono costruiti monumenti e ornamenti nel tempio di Amon a Karnak, come era solito per ogni suo predecessore nel Nuovo Regno.
Ma già si percepiva un rinnovamento, innanzi tutto artistico: lo stile delle opere commissionate da Amenhotep IV era più semplice e trascurato nella produzione – spesso in materiali particolarmente maneggevoli da lavorare come l’arenaria – ma estremamente più raffinato dal punto di vista artistico. Si faceva strada uno stile dolce e realistico, che avrebbe caratterizzato tutto il periodo amarniano e influenzato per alcuni anni le opere successive.
…Ad Akhenaton
La riforma religiosa iniziò intorno al quinto anno di regno del sovrano. A questo punto mutò gran parte dei nomi della sua titolatura e assunse il nome Sa Ra di Akhenaton, il cui significato è “Utile ad Aton”. Nello stesso anno fece costruire a tempo di record una nuova capitale nell’odierna Amarna, che egli fece chiamare Akhetaton, “Orizzonte di Aton”. Per la rapida costruzione Akhenaton si avvalse di corvèes forzate e di lavoro minorile, per la carenza di lavoratori adulti. La città ovviamente era piena di templi solari, a cielo aperto dedicati ad Aton.
Ma come si profilava il culto di Aton? Nel corso della storia molti hanno voluto cercare un seme dei monoteismi abramitici nella religione di Amarna, definendo essa stessa un monoteismo puro. Si tratta di un’analisi decisamente errata, secondo le numerose prove archeologiche. Certo, il culto di Aton era assolutamente preminente. Esso era strettamente legato alla venerazione del faraone stesso, ritenuto manifestazione terrena del dio solare. Ma come dimostrano gli scavi ad Amarna, nella capitale di Aton era diffuso il culto di tutte le altre divinità, di cui sono state rinvenute varie statuette e amuleti. Sarebbe forse più giusto parlare di monolatria quindi, cioè di un culto politeistico ma con un focus preminente su una sola divinità. Tuttavia, si potrebbe obiettare che il cambiamento sia stato così netto: si potrebbe obiettare che Aton non fece altro che rimpiazzare Amon come divinità principale.
Una scelta politica?
E a tutti gli effetti è necessario considerare la parentesi amarniana da un punto di vista politico. Come è stato già detto ampiamente, per tutto il Nuovo Regno il clero di Amon e la nobiltà di Tebe per estensione, conobbero un’ascesa inarrestabile. Dal punto di vista religioso, Amon era il supremo demiurgo, ricoprendo un ruolo di grande preminenza su tutti gli Dei, nel canone teologico tebano. Come è noto, non è sempre stato così, poiché infatti il suo culto crebbe di importanza insieme alla ricchezza del suo clero. Il potere del sacerdozio tebano arrivava a minacciare quello del sovrano: esso aveva a disposizione un ingente patrimonio di risorse economiche e terreni, facendo concorrenza al potere faraonico – che comunque lo aveva alimentato – nella sua stessa capitale.
Considerata questa situazione politica, risulta consequenziale che Akhenaton fece tutto il possibile per porre fine alla supremazia di Amon, andando a stravolgere non solo il panorama religioso, ma anche quello terreno: il culto di Amon fu represso, i suoi templi chiusi, le sue immagini cancellate. A Karnak furono espropriate le ricchezze del clero e costruiti nuovi templi solari dedicati ad Aton. Ma allo stesso tempo, nonostante il culto di Amon fosse stato talmente stigmatizzato ed esecrato, ad Amarna sono state ritrovate anche invocazioni al patrono di Tebe.
Il declino di Aton
In conclusione, è difficile farsi un’idea precisa dell’ideologia amarniana. Da un lato si tratta di una totale eresia, che scalzò molti Dei tradizionali dai loro ruoli e pose al vertice della gerarchia divina il sole Aton – che comunque già esisteva come divinità minore e aspetto di Ra – e il Faraone. Dall’altro lato si tratta di un’astuta mossa politica, volta a esautorare il clero tebano che ormai spadroneggiava sulla politica e l’economia dell’Egitto. Alla fine fu la storia a giudicare, ponendo fine alla breve parabola di Aton.
L’eresia amarniana aveva donato alla storia nuove raffinate opere. Da capolavori artistici come il busto di Nefertiti, a meravigliosi testi letterari come il Grande Inno ad Aton, è indubbio che si trattò di un periodo florido dal punto di vista culturale. Ma stravolgere in tal modo i culti ortodossi dell’antico Egitto era un’impresa destinata all’insuccesso. L’epilogo della parentesi amarniana è un periodo storico torbido, dai contorni difficilmente delineabili, a causa della damnatio memoriae inflitta dai restauratori dell’ortodossia. Verso la fine della vita di Akhenaton forse gli si associò come coreggente Smenkhkara, che forse governò per un breve tempo dopo la morte del faraone eretico. Non è certo se questi fosse suo figlio o suo fratello. Si sa però che morì giovane, a circa vent’anni.
Con la morte di Akhenaton, nonostante i brevi strascichi degli atoniani, la riforma religiosa aveva ormai perso il suo impulso. Essa non aveva avuto presa sul popolo, e la classe dirigente vi si era conformata per convenienza politica. Precedenti fedelissimi di Akhenaton saranno poi impegnati nella restaurazione di Amon come Dio supremo e della religione egizia tradizionale. In breve tempo il panorama teologico dell’antico Egitto tornò alla normalità, e l’eresia amarniana fu dimenticata – forzatamente.
Tutankhamon, il faraone bambino e restauratore dell’ortodossia
Salito al trono a 9 o 10 anni, verso il 1336 a.e.v., il giovanissimo Tutankhamon si trovava a ereditare un regno caotico e in preda a conflitti religiosi. Comunemente ritenuto figlio di Akhenaton e Nefertiti, si sa che il suo nome originario era Tutankhaton, cambiato in seguito con la nuova politica di restaurazione dei culti ortodossi.
Il regno del giovane sovrano era fortemente influenzato dai suoi due più preminenti consiglieri: Ay e Horemheb, un tempo funzionari sotto Akhenaton e ora completamente dediti al ristabilimento dell’ordine religioso. Ay era il fratello di Tiye, quindi imparentato alla famiglia reale, e ricopriva la carica di sommo sacerdote di Amon. Horemheb invece ricopriva i più alti incarichi militari. Sotto la loro guida il culto tebano fu ristorato e ritornò al suo precedente splendore. La capitale tornò nuovamente a Tebe, e la città fu ornata di molte nuove opere architettoniche dedicate ad Amon, rinvigorendo il suo culto dopo la breve battuta di arresto
Una celebre sepoltura
Oltre alla reintegrazione di Amon nel pantheon egizio, il regno del “faraone bambino” è privo di eventi degni di nota. Non vi furono campagne militari. Ma è senza dubbio celeberrima la sua tomba e gli oggetti sfarzosi ivi contenuti: la maschera in oro e lapislazzuli, i numerosissimi gioielli, i vasi canopi in alabastro, la magnifica statua di Anubi, i letti funebri, i sui bastoni e i suoi piccoli troni… Il tesoro di Tutankhamon ha ammaliato per oltre un secolo gli appassionati di egittologia e non, sin dalla scoperta della sua tomba da parte di Howard Carter nel 1922, così spesso romanzata. Forse Tutankhamon è addirittura il faraone più conosciuto nella cultura popolare, grazie alla straordinarietà del suo corredo funebre, nonostante la sua relativa insignificanza in vita.
Ankhesenamon, sposa di Tutankhamon, non riuscì a lasciargli alcun erede prima che questi si spende prematuramente, intorno ai 19 anni, verso il 1327 a.e.v.. Ad accaparrarsi il regno furono i funzionari che lo avevano guidato. Non persero tempo nell’approfittare del vuoto di potere e uno alla volta, nonostante non avessero sangue regale, ebbero la loro opportunità di regnare.
Ay e Horemheb: la fine della XVIII dinastia
Ay, un funzionario al potere
La stirpe della XVIII dinastia spense ufficialmente con Tutankhamon. Per legittimare la sua ascesa al potere, l’anziano Ay sposò Ankhesenamon, e conquistò, anche se brevemente, il trono egizio. Egli officiò i funerali di Tutankhamon compiendo sulla sua salma l’apertura della bocca, come era tipico facessero i figli con i padri, o perlomeno si rappresentò nell’atto di compiere questa cerimonia.
Durante il suo regno, durato quattro anni, usurpò alcune statue e opere del suo predecessore, cancellando il suo nome e sostituendolo con il proprio. A ogni modo, è difficile riconoscere le effettive opere di Ay, poiché il suo successore, Horemheb, le usurpò allo stesso modo.
Horemheb, ambizione e usurpazione
Il generale Horemheb aveva iniziato la sua carriera sotto Amenhotep III, e scalò i ranghi fino a controllare l’Egitto a fianco di Ay alle spalle di Tutankhamon. Era un uomo molto ambizioso, su questo non ci sono dubbi. Egli raggiunse il trono, il potere assoluto, senza avere neanche una goccia di sangue reale.
Sotto il suo regno l’opera di restaurazione dei culti e dei templi tradizionali fu continuata. Tuttavia, con una lucida visione politica, si curò di attribuire le più alte cariche sacerdotali del culto di Amon a uomini provenienti dalle sfere dell’esercito, sia perché a lui leali, sia per evitare che altri potessero imitare la sua scalata al potere, temperando il potere delle alte cariche militari. Allo stesso scopo divise il ruolo più alto di generali in due controparti, una meridionale e una settentrionale.
Nonostante anche Ay avesse iniziato questa pratica, sotto Horemheb vi fu una damnatio memoriae su vasta scala degli eretici amarniani. Si accanì però anche contro i suoi predecessori ortodossi, usurpando ampiamente i loro monumenti. Usurpò addirittura le statue di Tutankhamon che Ay aveva usurpato prima di lui. La riscrittura artificiale degli eventi da parte di Horemheb finì per creare un bizzarro mosaico storico, in cui, contro le sue volontà distruttive, i posteri trovarono le prove per ricostruire le vicende amarniane. I blocchi di riuso provenienti dal tempio di Aton a Karnak, da lui usati per ricostruire i santuari di Amon, presentavano ancora le talatat decorate con le immagini del Dio di Akhenaton.
Il regno di Horemheb fu relativamente stabile e privo di campagne belliche. Dopo una trentina di anni sul trono, egli morì senza eredi, lasciando il regno a un altro militare, il suo visir e amico, il futuro Ramses I, capostipite della XIX dinastia.
Sofia Nocella
Fonti
- Storia dell’antico Egitto, N. Grimal, Editori Laterza, 1988
- L’antico Egitto, H. A. Schlögl, Il Mulino, 2005
- I faraoni: Cronaca illustrata di tutte le dinastie dell’antico Egitto, P. A. Clayton, Thames & Hudson Ltd, 1994
- La civiltà egizia, A. Gardiner, Oxford Clarendon press, 1961
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