L’aldilà nel “Libro dei Morti”

L’aldilà nel “Libro dei Morti”
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Quando si menziona il Libro dei Morti dell’antico Egitto non possono che venire alla mente le oscure maledizioni e le formule dei film hollywoodiani, che permettono al defunto di tornare in vita. Il cinema d’oltreoceano ha creato pellicole molto note sul tema che hanno un alto impatto visivo e intrattengono lo spettatore tra fiction, avventura (con vene romantiche) e dei tratti horror che, però, non rispecchiano la realtà di ciò che è veramente Il Libro dei Morti.

Okay, ma di che si tratta?

Di che parliamo esattamente?

Partiamo dal nome: Il Libro dei Morti è un papiro che può diventare lungo ben 864 cm (quello di Iuefankh è tra i più completi e conservato al Museo Egizio di Torino), in cui viene narrato il viaggio del defunto, nella “vita oltre la morte”, dal momento della celebrazione funebre fino all’accesso a un luogo di beatitudine chiamato “Campi di Aaru”.

La definizione “Libro dei Morti”, come si può immaginare, non è quella originale: il concetto di “libro”, infatti, non si vedrà che al tempo di Gutenberg, con la prima Bibbia stampata. Il nome, conosciuto oramai in tutto il mondo, proviene dall’arabo “Kitab el Maytin”: è il modo in cui i razziatori di tombe identificavano lo “strano papiro” situato nei sarcofagi. Sarà ufficialmente solo nel 1824 d.C. che l’egittologo tedesco Richard Lepsius, traducendo uno dei suddetti rotoli, creerà un volume intitolato “Das Todtenbuch der Ägypter nach dem hieroglyphischen papyrus in Turin” (il Libro dei Morti egizio basato sul papiro geroglifico di Torino).

Ru Nu Peret em Heru

Il vero nome, Ru Nu Peret em Heru, significa “Libro per uscire al giorno”, e consiste in un insieme di formule che permettono al defunto di poter procedere nell’Akhet (L’Occidente, ossia il mondo dei defunti) avendo particolari protezioni e ricevendo indicazioni precise su cosa dire a specifiche entità. Sebbene alcuni abbiano calcato la mano affermando che si tratti di una sorta di “Bibbia” per gli antichi Egizi, tale non è: se il libro cristiano è dedicato specificamente ai viventi per dare loro supporto morale, il Ru nu Peret em Herw è completamente dedicato al khaibit e al suo viaggio oltre la morte, con formule miranti al superamento delle sue difficoltà e non a quelle dei viventi. Ciò che noi Kemetisti ortodossi facciamo, nell’attingere da questo papiro, è tenere in alta considerazione la Confessione negativa (conosciuta come le 42 Leggi di Ma’at) per poter avere una linea-guida morale. Nessuna formula dedicata a un defunto può aiutare un vivente.

Detto ciò, possiamo passare alla trattazione dell’argomento, senza appesantire eccessivamente questa tematica complessa, del vero viaggio del defunto1. Un viaggio che, vedrete, è tutt’altro che breve.

I Libri dei morti!

No, non abbiamo perso la bussola. Ci spieghiamo meglio. La civiltà egizia si è sviluppata in un periodo di 3000 anni, durante i quali la struttura teologica della religione si è evoluta, portando diversi cambiamenti. Potremmo quasi dire che il Libro dei Morti ha subito delle riedizioni, proprio come i libri moderni vengono aggiornati a seconda di rimaneggiamenti, di riscritture o nuove impaginazioni. Ebbene, considerando i periodi storici in cui un clero piuttosto che un altro ha avuto la meglio nell’imporre alcune peculiarità religiose, non trascurando anche le tradizioni locali che potevano contribuire con le loro teologie, possiamo distinguere ben tre edizioni del noto Libro:

  • Edizione “eliopolitana“: si suppone essere la versione primordiale del LdM, datata tra la VI e la XI dinastia. Di questa recensione non sono state rinvenute copie; se ne intuisce l’esistenza per la diffusione dei papiri della versione successiva: la tebana.
  • Edizione “tebana“: con il clero di Tebe predominante, la XI e la XII dinastia sviluppano questo testo che, paradossalmente, scomparirà per tornare operativo dalle XVIII dinastia (Nuovo Regno). Le illustrazioni sono di ottima qualità, ma le trascrizioni a volte carenti sul piano stilistico, con presenza di formule che variano nel numero, dalla 33 alle 40.
  • Edizione “saitica“: dalla XXVI dinastina fino alla dominazione romana, decade il predominio di Tebe in favore delle linea saita. Aumenta considerevolmente il numero di formule (fino a 165), ma al tempo stesso si assiste a una difficile organizzazione dello stesso Libro (mentre a Menfi la stesura è abbastanza conservatrice, a Tebe la posizione di alcune formule cambia rispetto alla numerazione usuale, creando difficoltà di lettura).

Premesse doverose

L’articolo che segue cercherà (è proprio il caso di dirlo) di segnare nel modo più chiaro possibile il tragitto del Khaibit nell’aldilà egizio, grazie a quello strumento democratico che è proprio il Libro dei Morti.

La questione è particolarmente complessa: la concezione funeraria partì come “non democratica”, ma dedicata esclusivamente al sovrano e alla sua cerchia. Sarà solo col passare delle dinastie che si iniziò a vedere un progressivo ampliamento del pensiero funebre anche ai nobili, per poi passare al popolo (sarebbe meglio parlare di “coloro che potevano permettersi il servizio di imbalsamazione”). Su questo punto rimase il fatto che, mentre il popolo mirava unicamente al raggiungimento dello status di Osiride Giustificato, per il sovrano era necessario assolvere alla sua funzione divina, assimilandosi alla figura di Ra che discendeva, ogni sera, negli “Inferi” (che preferiamo chiamare Akhet o Amenti, “L’Occidente”) e risorgeva a nuova vita nell’Oriente.

Il Kemetismo Ortodosso Solare intende fornire le indicazioni teologiche per il fedele basate non sulla versione ultima di questo Libro (cfr Papiro di Iuefankh, Periodo Tolemaico), ma bensì su quello di Ani (risalente alla XIX dinastia, Nuovo Regno). Ciò per fornire la versione più conosciuta, oltre che la più lineare e priva di intromissioni, le quali distolgono il lettore dal vero significato del viaggio ultraterreno.

Verranno in futuro fornite anche le info sui libri dedicati alla discesa nella Dwat da parte del Faraone.

Antefatto: gli Egizi e “L’altrove”

Dopo il passaggio dallo stato di vivente a defunto, inizia il viaggio che il Khaibit deve compiere in un mondo ignoto, chiamato Dwat. Anche se il termine racchiude in sé l’intero mondo dei morti della religione egizia, di fatto è un nome improprio.

Un passo alla volta.

Il regno dei defunti non è solo, come romanticamente viene raccontato, una “trasposizione del mondo dei vivi nell’aldilà”: è un vero e proprio mondo che si snoda tra zone quiete e luminose, fino a diventare impervie e buie. Questo percorso è il medesimo che effettua Ra ogni giorno, dal suo sorgere fino alla sua stessa rinascita. Il Sole, infatti, si identifica in Khepri all’alba, Ra-Horankhty allo zenit, e Atum al tramonto, compiendo il suo viaggio sulla barca Mandjet. Durante la notte, Egli diviene Khnum e mantiene questa forma fino al nuovo sorgere dell’astro, con la sua uscita alla luce. Il viaggio notturno invece viene affrontato sulla barca Sektet.

Questo preambolo è per introdurci a un concetto fondamentale: l’aldilà non è (solo) la Dwat, ma si snoda in più settori che la compongono e che andremo a vedere di seguito. D’ora in poi, oltre a leggere la parola “aldilà”, potrai trovare la parola Akhert2 e Amenti (o Amentet), quest’ultimo riferito specificatamente al regno celeste di Osiride3.

Il viaggio verso l’Akhert: dal funerale all’Amenti

Il Libro dei Morti, di qualsiasi versione si parli, inizia sempre con la descrizione del funerale e con la preparazione della salma, che culmina con il rito dell’ apertura della bocca. Potremmo vederlo come la preparazione delle valigie per l’inizio di un viaggio senza precedenti e senza ritorno.

Come accennato precedentemente, il Khaibit del defunto inizia il suo percorso all’interno dell’Akhert identificandosi in Ra, che da Oriente sorge come Khepri. A primo impatto viene subito da pensare che l’aldilà sia un luogo luminoso e rassicurante. La deduzione è parzialmente vera: infatti la prima fase del tragitto si svolge nella volta celeste, chiamata Amenti.

L’Amenti: un piccolo approfondimento

La volta celeste, o Amenti, è il luogo visibile in cui Ra compie il suo viaggio diurno. A seconda della mitologia, troviamo la spiegazione di come essa sia divisa dalla terra:

  • il Netjer Shu separa Nut da Geb (Nut incarna la stessa volta celeste);
  • l’Amenti è sorretto da quattro zampe di vacca, chiamata anche Vacca celeste: questa ha assunto diversi nomi, fino ad essere riconosciuta prevalentemente nella Dea Hathor;
  • l’Amenti è sorretto da quattro colonne rappresentate da un gruppo di divinità denominato collettivamente “I quattro pilastri del cielo”.

La pace momentanea dell’Amenti

Come dicevamo, l’aldilà in questo “mondo superiore” non sarebbe affatto male: il Khaibit percorre sulla barca Mandjet un percorso di luce arrivando al punto di zenit, chiamato Sekht-Aaru ossia Campi dei Giunchi o Campi dell’Abbondanza, per noi Kemetisti conosciuti col nome di Campi di Aaru. È un luogo di beatitudine, in cui sono presenti 14 Iat, o “Isole” , dove gli spiriti dei defunti proseguono la loro esistenza eterna.

Dal punto di zenit, in cui Khepri si è tramutato in Ra-Horakhty, inizia una fase discendente che porta il defunto ad attraversare un nuovo settore dell’Amenti chiamato Sekht-hotep o Campi della Pace. Ra-Horakhty diviene Atum e il defunto si prepara per arrivare al fulcro del viaggio nell’oltretomba.

Nel cuore dell’aldilà: la Sala Ma’aty

Questa è sicuramente la parte più nota, nonché la più trattata e probabilmente la più affascinante. In effetti, questo punto di confine tra Amenti e la Dwat (ebbene sì, non ci siamo ancora arrivati) rappresenta un punto cruciale per il Khaibit del defunto che, in un attimo, può vedere distrutta la sua totale esistenza.

All’ingresso della Sala Ma’aty spesso Anubis, più raramente Horus, prendeva per mano lo spirito del defunto che, con sottomissione reverenziale, si avvicinava al Tribunale divino. La seduta era presieduta dal già citato Anubis in qualità di inquisitore, da Thot che fungeva da scriba mentre annotava le varie risposte del defunto, da 42 Giudici e, come sommo giudice, Osiride. Non manca la bestia Ammit, di cui parleremo di seguito.

Scena  della  psicostasia  dal  Libro  dei  Morti  di  Taysnakht -  Museo  egizio  di  Torino
Scena della psicostasia dal Libro dei Morti di Taysnakht, Museo Egizio di Torino.

I 42 Giudici: un dettaglio da non sottovalutare

Quando si racconta la scena dell’ ingresso del defunto nella Sala Ma’aty, l’occhio cade sul Anubis, la bilancia, Ammit, Osiride e Thot. Eppure, ben 84 in più stanno puntando il defunto: sono i 42 Giudici.

Libro  dei  Morti  di  Ani, i  42  Giudici - British  Museum
Libro dei Morti di Ani, i 42 Giudici, British Museum.

Divinità minoritarie, il loro numero non è casuale: rappresentano il numero di parti in cui è stato smembrato Osiride e, nei cui sepat (o, in Greco, nomoi) sono stati ritrovati i pezzi. Ognuna di queste divinità dunque rappresentava una porzione delle Terra Nera: il defunto non era giudicato davanti al Signore di Abidos, ma davanti a tutto l’Egitto. Non solo: incarnavano anche i 42 possibili peccati di cui il trapassato era tenuto a discolparsi attraverso la confessione negativa. È giunto il momento di parlare del momento cruciale fulcro dell’intero viaggio del Khaibit: la Psicostasia.

DivinitàLocalitàCrimine
“Lungo passo”HeliopolisFalsità
“Abbracciatore del fuocoKherahaRapina
“Ficcanaso”HermopolisRapacità
“Divoratore di sfumature”La cavernaFurto
“Pericoloso”RosetauOmicido
“Doppio leone”“Il cielo”Distruzione di cibo
“Occhi feroci”LetopolisDisonestà
“Fiamma”“Uscita a ritroso “Furto di offerte
“Distruttore di ossa”HeracleopolisMenzogna
“Verde di fiamma”MenfiFurto di cibo
“Tu della caverna”“L’Occidente”Scontrosità
“Bianco di denti”CrocodilopolisTrasgressione
“Divoratore di sangue”“I macelli”Uccisione dei tori sacri
“Divoratore di visceri”“Casa dei Trenta”Falsa testimonianza
NebmaatMaatiFurto di pane
“Errabondo”BubastisSpiare
“Pallido”HeliopolisPettegolezzo
“Doppiamente cattivo”AndjetContesa
Uamemti“Luogo dell’esecuzione”Adulterio
“Guarda chi porti”“Casa di Min”Cattivo comportamento
“Sopra al vecchio”ImauIncutere paura
“Demolitore”XoisTrasgressione
“Disturbatore”UeritCollera
“Giovane”Nomoi di HeliopolisIndifferenza per la verità
“Predicente”UenesConfusione
“Tu dell’altare”“Il palazzo segreto”Frode
“Viso dietro di lui”“Caverna del male”Rapporti sessuali con ragazzi
“Caldo piede”“Il crepuscolo”Negligenza
“Tu della tenebra”“La tenebra”Lite
“Portatore delle tue offerte”SaisAttività smodata
“Recante volti”NedjefetImpazienza
“Accusatore”UetjenetDanneggiamento delle immagini degli Dèi (Iconoclastia)
“Recante corna”AsyutVolubilità nel parlare
NefertumMenfiIniquità
TemsepBusiriCongiurare contro il faraone
“Tu che hai agito con ostinazione”TjebuCamminare nell’acqua(?)
“Colpitore dell’acqua”“L’abisso”Rumorosità
“Comandante dell’umanità”“Casa tua”Oltraggio alla divinità
“Elargitore di bene”
“Il nomoi dell’arpione” (7º e 8º del Basso Egitto)
(Non chiaro nelle traduzioni)
“Elargitore di poteri”“La città”Darsi importanza
“Serpente dal capo eretto”“La caverna”Ricchezza disonesta
“Serpente che porta e dà”“La terra silenziosa”Blasfemia

La Psicostasia e le 2 verità (formula 125)

La Psicostasia (dal Greco, “psico” anima e “stasia“, pesatura) è l’atto del giudicare l’anima del defunto attraverso la sua pesatura. Nel nostro caso, non poteva l’anima del defunto stesso essere messa sulla bilancia, ma un suo sostituto: qualcosa che “parlasse” per conto del trapassato. Questo era l’Ib, il cuore2, sede dei ricordi e della coscienza. La scena della psicostasia presenta al suo centro la bilancia su cui vengono pesati l’Ib e una piuma di struzzo. Quest’ultima era la rappresentazione fisica dell’integrità, della rettitudine: essa era la Dea Ma’at, il cui peso doveva essere uguale al peso del cuore del defunto.

Dunque, perché si parla di “Ma’aty”, di “due verità”?

La risposta è presto detta: il defunto proclamava la sua innocenza attraverso le confessioni negative, ma l’ansia nasceva dal fatto che il suo stesso cuore… potesse dichiarare un’altra verità!

Non a caso, il capitolo XXXb dal Papiro di Ani, è dedicato all’implorazione verso il proprio Ib di non ritorcersi contro:

” Oh, mio cuore di mia madre! Oh, mio cuore di mia madre! Oh, mio cuore delle trasformazioni! Non essere testimone contro di me! Non farmi opposizione nel concilio! Non fare che il piatto penda in presenza del custode della bilancia! “

Dal Papiro di Ani, formula XXXb, British Museum.

Più leggero di una piuma di struzzo…

Torniamo alla pesatura dell’Ib. Se il suo peso era maggiore della piuma di struzzo, il giudizio negativo era inappellabile. Erroneamente si pensa che sia il defunto a essere dato in pasto alla bestia Ammit per la sua condotta immorale sulla terra; in realtà è il cuore stesso che viene divorato. Ciò comporta un destino ancora più crudele per il Khaibit, che non può continuare il suo viaggio verso i Campi di Aaru, per la sussistenza stessa del Ba e la possibilità futura, per il corpo materiale, di ritornare alla vita nella sua versione originale.

Il Netjer Anpu durante la pesatura del cuore e la bestia Ammit.
Il Netjer Anpu durante la pesatura del cuore e la bestia Ammit.

In pratica, una morte oltre la morte.

Una pesatura favorevole, invece, sarebbe stata sancita dapprima dal verdetto di Thot e poi direttamente dai 42 Giudici, come segue:

“Ciò che esce dalla tua bocca è giusto. L’Osiride [nome defunto] è stato messo alla prova e non ha commesso alcun crimine o male contro di noi. Non sarà permesso che Ammit prevalga su di lui. […] Che egli possa risiedere nel Campo delle Offerte come seguace di Horus.”

Superato questo giudizio, inizia un viaggio che costringe il defunto a usare alcune formule a supporto. Si entra nella Dwat, con l’accesso dapprima ai 7 Arrit e culminando con l’uscita dalle 7 caverne, finalmente, al nuovo giorno.

Dai 7 Arrit alle 7 caverne: eccoci nella Dwat

Il superamento del giudizio di Osiride non coincide con il termine del viaggio del Khaibit e l’accesso alla cosiddetta Soglia dei Campi di Aaru. Il percorso del defunto prosegue in quella che è la Dwat, luogo insidioso in cui sono presenti delle zone presiedute da dei Guardiani che avevano il ruolo di insidiare il cammino del Khaibit, minacciando di divorarlo.

Questo percorso, tutt’altro che semplice, era esattamente il medesimo che doveva affrontare lo stesso Ra durante il ciclo notturno3, con la differenza che il Netjer si trovava sulla Sua barca, aiutato da diverse divinità. Il trapassato, al contrario, poteva contare solo sulle sue parole, con l’aiuto delle formule e la conoscenza dei nomi dedicati a questi Guardiani.

Si prosegue con:

  • Le 7 Sale di Osiride (chiamate anche Arrit), presiedute da tre divinità minori dette rispettivamente Sorvegliante, Guardiano e Usciere. Passare attraverso ognuna delle Sale prevedeva la conoscenza perfetta di ognuno dei nomi di questi soggetti.
  • 12 Porte, presiedute da altrettanti Guardiani singoli, ove è presente anche il famoso “Lago di Fuoco”.
  • 7 caverne (meno delle 12 Caverne presenti nell’omonimo libro), in cui scorre un fiume Nilo sotterraneo. Sono presenti delle divinità minori (chiamati “Nemici di Ra”) che minacciano il percorso del defunto, ma non vengono mai definite con un nome preciso, ma solo attraverso epiteti. Queste caverne si trovano in una regione, chiamata “Ra-Setau” ed è l’ultima fatica del Khaibit.

Superata infatti l’ultima caverna, il defunto è giunto finalmente a est: nel Libro dei Morti viene chiamato come “Dio-leone”. Oramai divinizzato, è pregno di energia e può tornare alla vita – ben inteso, si parla di vita eterna, proprio come un Dio – in qualità di Osiride Giustificato.

The end? Prima, una riflessione personale.

Una riflessione personale

In qualità di sacerdote lettore di Horus e, per il caso specifico, di sacerdote funerario sem di Anubi, non ho potuto fare a meno di mantenere salda la direzione in cui doveva dirigersi questo articolo. Descrivere minuziosamente il percorso nell’aldilà egizio, all’interno di un articolo del blog, è praticamente un’eresia: la vastità di informazioni contenute nel Libro dei Morti è palese, senza contare le aggiunte e le modifiche fatte nel corso dei secoli.

Lo scopo, però, è stato quello di dare una sorta di imprinting al Kemetista moderno che si trova spaesato, tra modernità e immaginazione, con fonti non corrette e rivisitate a piacimento. Non è inusuale infatti che si facciano paragoni con il Cristianesimo, ma la differenza con quest’ultimo è subito visibile: se la promessa di una salvezza eterna è incondizionata sulla base della fede e della redenzione (basta chiedere perdono per avere la salvezza eterna ed è sufficiente credere), nel Kemetismo Ortodosso sono le azioni in primis a fare la differenza. Non è sufficiente essere devoti a Divinità X, ma le azioni compiute generano un giudizio oltre cui non c’è perdono che tenga. Inoltre, non ho potuto fare a meno di vedere travisato il concetto di rinascita come un motivo per credere nella reincarnazione (come nell’Induismo) che invece nel Kemetismo Ortodosso non è contemplato.

Concludo questa riflessione ricordando dunque quanto sia estremamente importante essere devoti alle divinità (nel nostro caso, egizie), ma lo è altrettanto rispettare lo stampo culturale a cui si fa riferimento (quindi tutto il contesto teologico/antropologico su cui si fonda la religione a cui ci si sta rivolgendo) oltre che rispettarne il pensiero religioso (ossia, si è Kemetisti venerando le divinità egiziane e rispettando la cultura stessa del popolo di Kemet, senza omettere ciò che dà “fastidio”).

Horemhat


Note

  1. Si tenga conto che l’argomento viene, oltre che sintetizzato, alleggerito di tutte quelle varianti introdotte nel corso dei secoli dai vari testi funerari che formeranno poi il corpus del Libro dei Morti e che, talvolta, potevano differire per alcuni dettagli anche solo a seconda dell’area geografica.
  2. La definizione di “Aldilà” come luogo unico non è ben esplicitata nei testi di natura funeraria; talvolta viene anche nominata come Igert (o Augert, a seconda del testo)
  3. Degna di nota è la definizione di Osiride come “Signore dell’Amenti”, oltre che di “Signore della Dwat” e di “Primo degli Occidentali” (epiteto condiviso con Anubi).
  4. Il cuore ha due rappresentazioni: la versione fisica, chiamata “Hati“, e la versione immateriale, detta Ib.
  5. Per essere più precisi, è con i “Libri” dedicati al sovrano che il percorso di Ra trova maggiore accostamento. Il faraone era identificato con Ra durante la traversata notturna, mentre il popolo ha la possibilità di “tastare” i pericoli della Dwat senza però essere identificati, a livello divino, a Ra.

Fonti

  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”.
  • Emanuele Pagani, “Il culto dei morti egizio”.
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, vol. II, Ananke.
  • Massimo Dall’Agnola, “Mitologia e Dèi dell’antico Egitto”, Edizioni Fs.
  • B. De Rachewiltz, “Il Libro dei Morti degli Antichi Egizi”, Ed. Mediterranee
  • Guy Rachet, “Il libro dei Morti degli Antichi Egizi”.

Link utili

Pubblicato da Horemhat

Marco Peirce (Napoli, 1986) è appassionato di egittologia dal suo primo incontro con il Museo Egizio di Torino alla scuola primaria. Dopo il diploma di perito aziendale e corrispondente in lingue, inizia un percorso formativo universitario durante il quale incontra persone che gli faranno conoscere l'ambiente pagano. Non tarderà molto al suo ingresso nell' ambiente Kemetista, da cui trae tutt'ora validi spunti di riflessione. Entra in contatto con Khnumose I durante la ricerca di un ambiente Kemetista basato in Italia. E' in questo periodo che sente fortemente il richiamo all' ortodossia, decidendo di intraprendere il percorso sacerdotale di Horus. In data 15.1.2023 diventa sacerdote Wab di Horus con il nome di Horemhat. In data 7.05.2023 supera con successo il test per l'avanzamento di grado come Khery-hebet n Hr (sacerdote lettore di Horus). Il 21.08.2023, dopo un esame dedicato, diviene referente per i riti funebri come wab e sem di Inp (sacerdote funerario di Anubi).

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